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Kayamara: la sconfitta della morte

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view post Posted on 28/2/2009, 14:57
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Cos’è

Kayamara è il mezzo per impedire la morte cellulare. Prevedibilmente, sarà in funzione dal 2020. Con Kayamara si riuscirà ad interrompere il processo di invecchiamento o di malattia delle cellule e ringiovanirle. Kayamara sarà in grado di intervenire direttamente sulle onde di energia dalle quali trae origine la massa di ciascuna delle particelle elementari che costituiscono gli atomi delle cellule. Kayamara è l’ultima delle trenta iniziative di Holos Global System. Kayamara opera in collaborazione con i principali centri di ricerca mondiali.

Perché

Da quando esiste l’universo, ogni sistema tende a preservare se stesso a prescindere dalle sue parti o dai suoi sotto-sistemi. Questa è la regola fondamentale dell’evoluzione, fondata sulla ridondanza, sulla resilienza e sulla selezione. «Ridondanza» significa sovrabbondanza: il numero di parti di un sistema è superiore al numero minimo di parti che consentono l’esistenza del sistema. Questo comporta che un grandissimo numero di parti o anche tutte le parti possono essere «sacrificate» per conservare il sistema. «Resilienza» significa resistenza: ogni sistema tende a mantenere la propria struttura (le relazioni fra le sue parti) ed a vincere le fluttuazioni che avvengono in esso. «Selezione» significa scelta: resistono di più le parti di un sistema che meglio si adattano alla conservazione del sistema. Per effetto della selezione, la struttura dell’universo è gerarchica e formata da livelli diadici bivalenti: le parti che si trovano su un certo livello rappresentano se stesse rispetto alle parti che si trovano sul livello superiore mentre rappresentano la totalità rispetto alle parti che si trovano sui livelli inferiori. La fine (la morte) di ogni parte è funzionale alla conservazione della specie e la fine (la scomparsa) di ogni specie è funzionale alla conservazione dell’ambiente, cioè del sistema superiore del quale la specie è sotto-sistema.
I sistemi si formano per caso, in seguito ad un certo numero di tentativi.
Una volta che si sono formati, nasce nei sistemi la necessità di conservarsi.
Questa è la ragione per cui tutta la natura trasforma in fine tutto ciò che nasce come mezzo: ogni sistema nasce come mezzo (organizzativo) di evoluzione delle sue parti, poi si trasforma in fine ed usa le sue parti come mezzi di conservazione. Sembra un processo infinito. Tuttavia, se è vero che ogni evento determina eventi successivi, è pur vero che non tutti gli eventi successivi sono prevedibili: il sistema, pur essendo finalistico (tende a conservare se stesso) non può, per sua natura, egemonizzare tutti gli eventi che derivano dal suo stesso processo. Perciò, può accadere che una parte di un sistema o un sotto-sistema di un sistema possano vincere la resilienza del sistema e modificare la struttura del sistema stesso. Ciò si verifica quando la complessità e, quindi, l’intelligenza, di una parte o di un sotto-sistema di un sistema è superiore a quella del sistema di cui fa parte. Per questo motivo si è affermata la vita: la prima cellula vivente ha avuto una complessità, quindi un’intelligenza, superiori a quelle del sistema dal quale ha avuto origine. Ciò significa che una parte o una specie vivente che abbiano raggiunto un sufficiente livello di complessità e di intelligenza possono, se lo vogliono, interrompere il processo di selezione naturale e trasformare la struttura gerarchica in una struttura conarchica, priva di livelli diadici. Come la vita ha iniziato ad usare la materia inerte, così una forma di vita abbastanza complessa ed intelligente può usare l’intero universo, nel senso che può sfuggire alla regola naturale che si è formata all’inizio del tempo e dello spazio modificando la regola stessa. Naturalmente, resta l’imprevedibilità. Si può determinare la modifica della struttura dell’universo ma non si può completamente prevedere come sarà la nuova struttura. In questo contesto si pone l’idea dell’immortalità cellulare. Forse l’essere umano può diventare immortale e forse può determinare la modifica della struttura sistemica dell’intero universo ma non può prevedere tutti gli effetti che ne potrebbero derivare. Nemmeno attraverso simulazioni, poiché le variabili di stato del sistema sul quale si vuole incidere sono in numero assai superiore a quanto l’essere umano è oggi in grado di prevedere. Quindi, bisogna accettare il rischio di tentare, prendendo coscienza che l’unica alternativa è la certezza dello stato attuale, con la conseguente certezza della fine (morte). Questa è la sfida: oggi l’umanità può tentare di innescare un nuovo processo attraverso il quale ogni sua parte possa conservarsi e svilupparsi, oppure può continuare a conservare e sviluppare se stessa attraverso la fine di ogni sua parte. Nel primo caso si tratta di vivere per continuare a vivere, nel secondo si tratta di accettare di vivere per morire. Da questa dicotomia nasce l’idea di Kayamara, la sconfitta della morte.
La scienza ci assicura che questo obiettivo è possibile, anche in tempi brevi.
Ma per sconfiggere la morte bisogna creare le condizioni affinché il sistema possa sopportare l’immortalità. Il fine della sconfitta della morte non è tanto e solo un problema tecnico in sé quanto un’assunzione di responsabilità del tutto diverse da quelle attuali. Una responsabilità che coinvolge tutti gli esseri umani. Serviranno nuovi rapporti e comportamenti sociali, civili, politici, economici e morali, servirà maggiore auto-controllo, servirà una nuova organizzazione che deve necessariamente nascere dal basso, da ciascuno di noi. Non si tratta di credere o non credere, di sperare o non sperare, ma di utilizzare il nostro stesso livello di sviluppo per trasformare noi stessi per poterci permettere di essere immortali. È impossibile? Non è vero. Tutta la natura ci dimostra che insieme alla regola della competizione, da cui nasce la selezione, esiste anche quella della cooperazione, che si manifesta ogni volta che due o più parti concorrono insieme al raggiungimento di un fine comune. Basterà capire, avere coscienza della realtà attuale e volere, nella convinzione che mentre oggi la cooperazione è finalizzata alla conservazione ed allo sviluppo della specie, in futuro dovrà essere finalizzata alla conservazione ed allo sviluppo di ogni essere umano.

Per chi

Kayamara è per ogni essere umano che non vuole morire a causa di invecchiamento o malattia.
L’iniziativa sarà completata per tutti gli abitanti del pianeta entro un massimo di 25 anni.
I primi dieci anni (al massimo) serviranno per le sperimentazioni dei metodi anti-invecchiamento e ringiovanimento ed alla prototipia dei mezzi. I successivi quindici anni saranno dedicati alla industrializzazione dei mezzi ed alla loro diffusione planetaria. Probabilmente, quindi, l’utilizzo di Kayamara potrà iniziare dal 2020. Ovviamente, Kayamara non potrà essere utilizzata contemporaneamente da tutti gli esseri umani. Poiché nessuno potrebbe assumersi la responsabilità di stabilire a chi dare priorità, è stato impostato un piano di adesioni al quale possono partecipare tutti gli abitanti del pianeta. I primi a partecipare a Kayamara saranno i primi che potranno utilizzare Kayamara.
L’adesione richiede unicamente l’assunzione dell’impegno personale del partecipante a prestare, in una o più volte, entro dieci anni dalla data dell’adesione, con un preavviso di trenta giorni, cento ore di lavoro secondo le sue reali possibilità fisiche e psichiche, come precisate nell’atto di partecipazione. Per chi non è nelle condizioni fisiche e/o psichiche di prestare le cento ore di lavoro e per chi ha un’età inferiore a sedici anni al momento dell’adesione, un’altra persona potrà assumere l’impegno. Nessuno può assumere questo impegno per più di una persona.
Se l’adesione è richiesta da persona diversa dall’interessato, quest’ultimo dovrà aderire personalmente non appena cessino le cause per le quali non ha potuto personalmente. L’adesione da diritto all’applicazione di Kayamara e non richiede alcun altro impegno. Le eventuali spese sostenute dall’interessato per la prestazione delle cento ore di lavoro saranno interamente rimborsate. Il mancato adempimento all’impegno di prestare il lavoro dichiarato nell’atto di adesione comporta la cancellazione dell’adesione stessa. Per aderire a Kayamara compilare il relativo modulo.

Come

La partecipazione a Kayamara può essere personale o per conto di altra persona.

Testi

Da migliaia di anni, da quando ha capito di esistere, l’essere umano si chiede chi è, da dove viene, perché esiste e che cosa può fare.
Ora, sa di essere l’ultimo anello di un processo evolutivo che ha trasformato la materia più semplice, il gas, in organismi complessi. Sa che la sua origine è la vita.
Ma perché esiste? La logica e la ragione ci inducono a ritenere di esistere per svolgere una funzione nell’ambito del tutto di cui siamo parti. Già, ma quale funzione? Siamo semplice manifestazione di una potenza creativa che determina la nostra stessa natura ed il nostro destino e, quindi, una delle tante espressioni di un percorso che trasforma tutto ciò che esiste dallo stato più semplice a quello più complesso, oppure siamo o possiamo essere noi stessi gli artefici del cambiamento della realtà? Esistiamo per caso o per necessità? Se esistessimo solo per caso, saremmo il prodotto di un processo evolutivo determinato da una serie di tentativi con effetti imprevedibili. Se esistessimo solo per necessità, saremmo uno stato transitorio di una realtà che tende ad un fine per noi incomprensibile.
Una terza ipotesi è che esistiamo per necessità, quindi a causa di qualcosa, e siamo così, con la nostra intelligenza, come risultato del caso. La causa potrebbe essere la necessità originaria dell’universo di passare, sempre in bilico fra ordine e caos, da uno stato iniziale di massima semplicità ad uno sempre più complesso. Il caso potrebbe essere il modo attraverso il quale avviene la trasformazione dallo stato più semplice allo stato più complesso. In questa prospettiva, noi avremmo bisogno dell’universo come l’universo avrebbe bisogno di noi. Qualcuno sostiene che poiché l’universo è esistito per miliardi di anni senza di noi, lo stesso universo potrà continuare ad esistere senza di noi. Come è avvenuto per tutte le specie viventi ormai estinte. Tuttavia, c’è una sostanziale differenza fra i dinosauri e l’essere umano: il cervello, il quoziente intellettuale. L’intelligenza è la discriminante fra noi e tutte le altre forme viventi. E l’intelligenza è potere. Non importa se anche noi, come i batteri ed i dinosauri, siamo effetto del caso. Ciò che importa è se noi siamo abbastanza intelligenti da poter modificare la realtà, oppure se anche noi siamo del tutto condizionati dalla realtà. Può darsi benissimo che la nostra intelligenza sia insufficiente a modificare il processo evolutivo fondato sulla selezione. In tal caso, ogni nostro tentativo sarebbe inutile. Ma può anche essere che l’umanità nel suo insieme sia uno stato evolutivo della realtà capace di incidere sulla stessa realtà dalla quale è stata prodotta e della quale fa parte. Se così fosse, noi abbiamo almeno due possibilità: tentare di modificare il processo evolutivo per scoprire se siamo abbastanza intelligenti e quindi abbastanza potenti da riuscire in questa impresa o adattarci al processo evolutivo ed accettare la nostra fine. Non si tratta di essere o non essere ma di volere o non volere, di tentare o non tentare. Non volere significa accettare la certezza della nostra fine. Volere significa accettare il rischio di ribellarsi alla nostra fine. Così, per la prima volta da quando esiste l’universo, un insieme di sue parti, l’umanità, può scegliere, può decidere, se fare o non fare. Questa è la particolarità dell’essere umano. È probabilmente vero che l’universo potrebbe continuare la sua evoluzione anche senza l’umanità. Noi potremmo essere un’occasione che può incidere sull’intero universo ma anche un’occasione sprecata e, in questo caso, non c’è motivo di ritenere che l’universo non possa averne altre in futuro.
Tuttavia, quel che possiamo comprendere non è la semplice dicotomia fra adattarci alla realtà emulando il passato oppure tentare di costruirne una diversa con il rischio di non riuscire. Questo è un luogo comune. La vera dicotomia è fra la certezza della fine ed il rischio di non riuscire ad evitarla. La scelta fra queste due dicotomie dipende dalla paura. Se hai paura, scegli la massima probabilità anche se sai che ti porta alla fine. Se vinci la paura, ti ribelli alla certezza della fine e provi ad evitarla. Un esempio è la morte. Ad un certo momento, ognuno di noi ha la percezione della morte. Ne ha paura e la rimuove dalla coscienza, rifugiandosi nella speranza della fede o accettandola come male ineliminabile. Da quel momento ci si arrende alla morte, si vive per morire. Se, invece di rimuoverla dalla coscienza, si decidesse di affrontare la paura della morte con la ragione, si vivrebbe per vivere, utilizzando la vita come unica occasione per sconfiggere la morte. Perciò, vivere per cambiare il mondo significa avere come scopo finale la sconfitta della morte. Si può cambiare il mondo? Da tempo, sapienti di ogni cultura si interrogano su questa possibilità, dapprima attraverso visioni religiose e speculazioni filosofiche, poi mediante sperimentazioni e simulazioni. Infine, si è iniziato a cercare una risposta intrecciando ogni tipo di conoscenza, dalla scienza alla fantasia, dalla deduzione all’intuizione, dall’empirismo all’astrazione. Tutto può essere analizzato, verificato, valutato, riordinato e quindi, in un certo senso trasformato. Secondo alcuni, cambiare il mondo è impossibile e si può solo cercare di migliorarlo. Per costoro, cambiare il mondo sarebbe impossibile a causa di limiti spaziali e temporali. Così, questi ritengono che chi si pone il problema sia una parte talmente infinitesimale del tutto da non poter assolutamente influenzare il tutto. Nello stesso tempo, essi credono che un processo di reale cambiamento richieda un tempo assolutamente superiore a quello a disposizione di chi vuole cambiare il mondo. Perciò, è meglio pensare ed operare per migliorare le condizioni di vita ed ambientali, senza sconfinare nelle utopie. In questo modo, si affronta l’affrontabile, si risolve il risolvibile e si evita di immolarsi per un fine irrealizzabile. Si accetta il male come carattere naturale ed ineliminabile della realtà e si spera di poter trovare una nuova realtà dopo questa vita.
Secondo altri, il mondo cambia naturalmente e continuamente attraverso l’evoluzione. Per chi la pensa così, noi siamo semplici oggetti di un processo di eventi in parte causali ed in parte casuali che si ripeterà fino alla fine del tempo. Tanto vale adattarsi a questo processo naturale, cercando di cogliere e sfruttare le occasioni favorevoli e di reagire per quanto possibile a quelle sfavorevoli, piuttosto di ribellarsi. In fondo, l’evoluzione è fondata sulla selezione e questa presuppone che vive meglio chi meglio si adatta alle regole della natura. In questa visione, l’umanità non è altro che una delle infinite espressioni dell’intelligenza cosmica, senza una particolare funzione rispetto all’insieme. Siamo soltanto il frutto dell’evoluzione e viviamo in uno stato di un processo iniziato miliardi di anni prima di noi e che continuerà dopo di noi, anche a prescindere da noi. Altri ancora sostengono che mentre sembra sempre che tutto cambi, in realtà tutto resta sempre come prima. Chi aderisce a questa convinzione crede che tutto sia sostanzialmente immutabile e che i cambiamenti rappresentino soltanto la nostra percezione degli eventi i quali, in effetti, si ripetono invece all’infinito. Essi analizzano la storia e si arrendono alla sua ripetizione nel futuro. Nulla di nuovo sotto il sole. E poiché sembra vero che il tutto assorba ogni sua parte, considerano ogni parte del tutto spinta ma anche condizionata dal tutto. Il resto, per essi, è pura illusione. Chi osa ribellarsi a queste tre convinzioni (cambiare il mondo è impossibile, il mondo cambia da solo, sembra che tutto cambi mentre tutto si ripete) passa per visionario e viene emarginato. Perché non serve. Anzi, ingenera illusioni che spesso si sono rivelate catastrofi. Chi pensa (e dichiara) che, anche se si fosse sviluppata per caso, non per questo l’umanità non possa assumere la funzione di incidere sul tutto e cercare di cambiare le stesse leggi che hanno prodotto la nostra intelligenza, è considerato pazzoide. Chi propone ed agisce per costruire un futuro diverso da quello che la ragione consente di prevedere è giudicato un sognatore o addirittura un paranoico od un megalomane. Eppure, se qualcuno osa ribellarsi e credere che il mondo si possa cambiare ci sarà pure una ragione. Perché, invece di pensare soltanto a se stessa, una persona che per fortuna o per caso potrebbe vivere meglio di altre dovrebbe credere che sia possibile, rinunciando a benefici personali ed accettando costi, che tutti possano vivere meglio ed agire di conseguenza, se non fosse possibile cambiare il mondo? Sarebbe illogico.
Non sarà, invece, che nonostante le conoscenze acquisite ci consentano di comprendere gran parte delle regole della realtà e mentre appare possibile adottare soluzioni in grado di trasformarla, non si voglia compiere lo sforzo per agire di conseguenza accettandone i costi? Non sarà che il burattino che ora potrebbe fare il burattinaio preferisca continuare a vivere da burattino? Perché è più facile, meno impegnativo, richiede minore responsabilità ed in fondo consente di trarre più piacere nell’arco di una vita normale. Perciò, alla fine, ciascuno pensa soprattutto a sé. E pensa ed agisce per sé a prescindere dal resto. Non sente la necessità di superare se stesso e crede che la rinuncia richieda più volontà della conquista. Ma, perché cambiare il mondo? Per rispondere, bisogna trovare una risposta ad alcune domande che stanno a monte. Cos’è il mondo? Perché esiste il mondo? Com’è il mondo? Chi fa parte del mondo? Infine, che cosa significa cambiare il mondo?
Cos’è il mondo? Che cosa intendiamo per mondo? Per mondo, intendiamo l’universo del quale l’umanità ed il suo pianeta fanno parte. Quindi, per mondo intendiamo dalla più piccola particella di energia all’universo nel suo insieme. In questo mondo, ogni essere umano è una microscopica particella la cui vita dipende da un pianeta dal quale, per quanto ne sappiamo, esiste l’unica forma di vita di tutto l’universo. Può darsi che non sia così, può darsi che siano esistite ed esistano altre forme di vita nell’universo, può darsi che esistano addirittura altri universi. Ma, mentre possiamo immaginare ogni altra possibilità, noi possiamo agire soltanto in base alla realtà che, oggi, conosciamo. E la realtà che oggi conosciamo è costituita da un universo immenso nel quale esiste un solo pianeta sul quale esiste la vita. E sia che questo pianeta e la vita che esiste su di esso siano eccezioni sia che esistano altri pianeti o altri oggetti cosmici sui quali esistano altre forme di vita, noi dobbiamo partire dalla realtà che conosciamo. Ed è già abbastanza complessa. Tutto l’universo è costituito da energia in movimento nello spazio e nel tempo. Poiché l’universo ha avuto origine con lo spazio ed il tempo, l’unica essenza prima dell’universo poteva essere energia immobile senza spazio e senza tempo. Quell’unica essenza non era un insieme di parti ma una sola entità senza dimensioni spazio-temporali. L’infinito, in quanto essenza non misurabile, è perciò energia senza spazio e senza tempo. L’universo nasce quando l’unica entità primordiale si divide in due parti, una delle quali si trasforma in onde che creano lo spazio ed il tempo. Dall’inizio del tempo, l’universo costituito da onde in movimento nello spazio e nel tempo si espande immerso nell’energia primordiale immobile senza spazio e senza tempo. L’universo finito si espande immerso nell’infinito. Con l’universo nasce il primo sistema costituito da un insieme di parti che interagendo fra di esse sono diventate interdipendenti. Perché esiste il mondo, cioè perché esiste qualcosa piuttosto che nulla? Si potrebbe rispondere, banalmente, che per noi il mondo esiste affinché noi esistiamo. È un’affermazione certamente riduttiva ma è quella che per ora possiamo dedurre dalla nostra conoscenza. Possiamo credere che il mondo esista per noi. Oppure che noi esistiamo per il mondo. Possiamo anche credere che il mondo esista per altro. Ma, alla fine, per noi il mondo si esaurisce in quattro elementi: l’universo, la terra, la vita e noi. Su questi quattro elementi dobbiamo ragionare ed in base ad essi possiamo agire. Com’è il mondo? Il mondo è un insieme di sistemi. Un sistema è un insieme di elementi che formano un tutto organico sottoposto a determinate regole. L’ambiente è l’insieme di energia, spazio e tempo del quale fa parte ogni sistema. Tutti i sistemi sono aperti. Ogni sistema interagisce con altri sistemi e con l’ambiente. Non esistono sistemi chiusi. Lo stesso universo, costituito da energia, spazio e tempo, nel suo insieme è un sistema aperto rispetto all’infinito nel quale è immerso. I sistemi possono essere più o meno complessi. Un sistema complesso è un insieme di parti più o meno complesse ciascuna delle quali interagisce in modo non lineare e disomogeneo con altre parti del sistema e con parti di altri sistemi. L’interazione è il processo fondamentale dei sistemi complessi. Ogni interazione è costituita da un’azione ed una retroazione: ogni parte agisce direttamente od indirettamente su altre parti che a loro volta retro-agiscono direttamente o indirettamente sulla parte che agisce. Mediante le interazioni locali non lineari (molte interazioni sono contemporanee), ogni parte influenza quelle più vicine.
Che cosa significa non lineare? Un sistema lineare è una combinazione di equazioni, cioè una sequenza di uguaglianze tra più espressioni con diverse variabili (incognite) ed una costante. Un sistema di interazioni non lineari è quello in cui almeno una di esse è non lineare. Le interazioni possono essere positive o negative. Sono positive quando le retroazioni sono eccitatorie. Sono negative quando le retroazioni sono inibitorie. L’interazione negativa consente al sistema di raggiungere un equilibrio dinamico. Negli organismi l’equilibrio dinamico ottenuto dalle interazioni negative è detto omeostasi. L’interazione positiva, invece, allontana il sistema dal punto di equilibrio e può farlo esplodere. Negli organismi, il disequilibrio ottenuto dalle interazioni positive è detto autocatalisi.
Con l’autocatalisi, le parti catalizzatrici intervengono per agevolare l'unione o la separazione di altre parti del sistema. Negli insiemi autocatalitici diverse parti catalizzatrici interagiscono fra loro formando nuove parti che a loro volta hanno proprietà catalizzatrici, fino alla formazione di una rete capace di autorinforzarsi e di assegnare un vantaggio competitivo alle parti costituenti rispetto a quelle non presenti nella rete. È un esempio di stretta correlazione fra cooperazione e competizione. Oltre ad un certo livello di complessità si ha una transizione di fase ed un sistema diventa autocatalitico. L'autocatalisi organizza la materia e favorisce l'emergenza. Modelli di chimica algoritmica basati sui concetti di varietà e reattività sono in grado di produrre autocatalisi e permettere l'emergenza di strutture vitali tramite transizioni di fase ad un livello di organizzazione superiore. Una volta innescato un processo di autocatalisi è difficile arrestarlo. Si ha causalità circolare o effetto valanga. Per esempio, più la ricchezza è concentrata più si concentra: i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Le parti del sistema alle quali si può associare un valore numerico, cioè quelle che rappresentano grandezze misurabili, si dicono varabili di stato. Lo stato del sistema è definito in ogni istante dall’insieme dei valori di tutte le variabili di stato. Le interazioni fra le parti di un sistema complesso e del sistema con l’ambiente determinano variazioni nei valori delle variabili di stato del sistema. Il cambiamento dello stato del sistema nel tempo rappresenta l’evoluzione del sistema.
La caratteristica più sbalorditiva dell’evoluzione dei sistemi complessi, ma non solo di essi, è il cosiddetto effetto farfalla. Per effetto farfalla si intende l’estrema sensibilità di un sistema alle condizioni iniziali, ovvero alle perturbazioni. Piccole variazioni nelle condizioni iniziali del sistema possono determinare nel tempo enormi variazioni nell’evoluzione del sistema. Perturbare anche poco lo stato di un sistema complesso può stravolgere il suo comportamento e la sua evoluzione. Essendo impossibile prevedere ogni piccola perturbazione di un sistema, l’evoluzione dei sistemi complessi è completamente imprevedibile. Un esempio di effetto farfalla è il gioco del biliardo: piccole variazioni nel punto di impatto di una palla contro altre palle o contro il bordo determinano grandi differenze nella posizione finale delle palle. La teoria della complessità supera il dualismo ordine-disordine, da cui derivano quelli di causa-caso, ragione-caos, necessità-contingenza, determinismo-indeterminismo, prevedibilità-imprevedeibilità. Fra ordine prevedibile e disordine imprevedibile esiste una terza possibilità: il determinismo imprevedibile. Dal determinismo imprevedibile nasce quell’equilibrio dinamico che si colloca al margine del caos, fra la cristallizzazione di un sistema ordinato ed il caos di un sistema disordinato. Tutti i sistemi complessi in equilibrio al margine del caos sono instabili e precari. Se una perturbazione allontana il sistema dall’equilibrio, due sono gli effetti possibili: il sistema precipita nel caos oppure trova un nuovo equilibrio, di solito completamente diverso da quello precedente, sul margine del caos. Non esiste, invece, la possibilità di un ordine assoluto, per effetto del quale cesserebbe il processo di evoluzione. Una caratteristica dei sistemi complessi è la resilienza, cioè la capacità di un sistema di sopportare perturbazioni senza perdere il proprio equilibrio. La resilienza è effetto della ridondanza delle parti, cioè dalla loro abbondanza: perciò, nessuna parte è indispensabile. In un sistema complesso, quando una perturbazione ha una valenza maggiore della resilienza, il sistema normalmente evolve cercando un nuovo equilibrio.
I sistemi complessi si dicono adattivi. La capacità adattiva è la velocità con la quale un sistema ritrova un nuovo equilibrio dopo aver perso quello precedente. L’adattamento è il meccanismo in base al quale la selezione determina il successo evolutivo di una parte (ad esempio una specie animale) del sistema. L'adattamento deriva da selezione e mutazioni casuali all'interno di processi di riproduzione (nei sistemi biologici) oppure da apprendimento ed esperienza (nei sistemi sociali). La modifica delle caratteristiche di una parte avviene per rispondere a sollecitazioni che derivano dall'ambiente in cui opera. L'adattamento è strettamente connesso alla coevoluzione ed è massimo a metà strada fra il regime stabile e quello caotico, cioè al margine del caos. L'apprendimento tramite l'esperienza determina la modifica dei modelli interni di interpretazione della realtà e consente alle parti di adattare i propri comportamenti e di evolvere. L'apprendimento e l'esperienza consentono l'evoluzione nei sistemi sociali. L'apprendimento agisce sulla singola parte o su gruppi di parti e produce evoluzione nel sistema solo se può essere trasferito. I tipi di apprendimento possono essere distinti in: apprendimento per sfruttamento (perfezionando le connessioni che già si possiedono) oppure apprendimento per esplorazione (modificando la configurazione delle connessioni). Le connessioni che lavorano meglio sono premiate rispetto a quelle meno efficienti. L'apprendimento e l'esperienza risultano determinanti in un contesto stabile, dove le situazioni si ripresentano sostanzialmente immutate e c'è poco spazio per l'imprevisto. In un contesto dinamico, dominato da molte variabili, acquisisce un rilievo notevole la casualità in quanto l'ambito delle possibilità si allarga e la scelta della strategia migliore viene, di fatto, affidata al caso. In un contesto dinamico la cooperazione (implicita o esplicita) fra gli agenti di un sistema consente di operare aggiustamenti reciproci ed orienta la casualità delle scelte verso obiettivi comuni. Si rileva una costante tendenza della materia a disporsi in forme sempre più complesse pur in presenza della tendenza al disordine insita nel secondo principio della termodinamica. Esiste uno stretto legame fra selezione ed auto-organizzazione.
Quando i sistemi complessi si trovano in stato caotico, nessuna organizzazione è possibile. Quando si trovano in stato ordinato, l’organizzazione è possibile ma dipende da fattori esterni (top-down). Quando si trova in equilibrio al margine del caos, le su parti si auto-organizzano spontaneamente. L’auto-organizzazione non dipende da fattori esterni ma solo dalle interazioni locali fra le sue parti (bottom-up). Esempi di auto-organizzazione sono la monogenesi, cioè la differenziazione e specializzazione delle cellule a partire da un’unica cellula fecondata, il cervello, con la specializzazione delle aree cerebrali e la localizzazione delle funzioni mentali, e le organizzazioni sociali senza leader, con ruoli specializzati e funzionali. Il cervello può essere inteso come una rete formatasi all'inizio in modo casuale e successivamente autorganizzatasi. L'esperienza si accumula grazie ad un processo di retroazione positiva per cui le sinapsi utilizzate spesso si rafforzano a scapito di quelle poco utilizzate (meccanismo hebbiano). Nei gruppi di sinapsi forti si fissano i ricordi. Si formano raggruppamenti di cellule che costituiscono le componenti elementari del pensiero come attività della mente quale fenomeno naturale che emerge spontaneamente dall’interazione delle cellule cerebrali.
Altri due caratteri dei sistemi complessi sono l’attrazione e l’emergenza. Un attrattore è un insieme verso il quale evolve un sistema dinamico dopo un tempo sufficientemente lungo. Perché tale insieme possa essere definito attrattore, le traiettorie che arrivano ad essere sufficientemente vicine ad esso devono rimanere vicine anche se leggermente perturbate. Dal punto di vista geometrico un attrattore può essere un punto, una curva, una varietà, o anche un insieme più complicato dotato di struttura frattale e noto con il nome di attrattore strano. La descrizione degli attrattori dei sistemi dinamici caotici è stata uno dei successi della teoria del caos.
L’emergenza è un fenomeno o meglio, un processo attraverso il quale da regole semplici traggono origine strutture complesse. L’evento iniziale di un processo emergente deve essere inatteso ed imprevedibile dalla stessa struttura dalla quale trae origine.
Il caos riguarda un ristretto insieme di fenomeni che si evolvono in modi prevedibilmente imprevedibile. All'interno della teoria del caos anche le dinamiche più complesse rispondono ad equazioni matematiche prestabilite i cui effetti sono immutabili e non adattabili. Per effetto del caos si ha il caso. Fenomeni singolarmente disordinati e caotici manifestano regolarità se considerati su scala più ampia, ma queste regolarità non consentono di prevedere l'evoluzione dei fenomeni individuali se non a livello statistico. La natura irregolare, caotica ed imprevedibile dell'universo apre la strada ad un approccio statistico che tratta i fenomeni in termini di probabilità e tendenze studiate dalla meccanica quantistica. La casualità gioca un ruolo determinante nell'evoluzione in quanto, con le mutazioni, inserisce elementi di novità il cui successo o insuccesso sarà determinato dalla selezione naturale. Il successo o l'insuccesso evolutivo possono dipendere, a loro volta, da fatti casuali, come è avvenuto nella vicenda dei mammiferi e dei dinosauri. Il ruolo del caso tende ad essere ridimensionato nel momento in cui si cerca di dimostrare l'inevitabilità di determinati processi (autocatalisi, criticità organizzata). Ciò entra in contrasto con l'idea che la vita sia plasmata anche da fattori contingenti e imprevedibili. In questo contesto, si potrebbe inserire anche il concetto sull'indissolubile legame tra caso e necessità. In un contesto dinamico, dominato da molte variabili, acquisisce un rilievo notevole la casualità in quanto l'ambito delle possibilità si allarga e la scelta della strategia migliore viene, di fatto, affidata al caso. In un contesto dinamico la cooperazione (implicita o esplicita) fra gli agenti di un sistema consente di operare aggiustamenti reciproci e orienta la casualità delle scelte verso obiettivi comuni.
Da questa cooperazione trae origine l’intelligenza collettiva, intesa come altra e diversa dall’aggregazione dell’intelligenza delle sue parti.
Ciò non significa affatto antropocentrismo. L’intelligenza collettiva del sistema umano non va considerata come centrale nell’universo ma una delle manifestazioni ed insieme delle funzioni dello stesso. Per vivere in un sistema complesso occorre pensiero laterale, capacità di semplificare il più possibile ma non di più (semplificare senza banalizzare), umiltà e non arroganza, limitare gli eccessi, disciplina, responsabilità, non egemonia, non ragionare per slogan, non ragionare per compartimenti stagni (vedere la foresta e non solo gli alberi), non ricercare né ordine assoluto né caos, gestire i fenomeni che emergono dal basso. Chi fa parte del mondo? Tutta la materia e l’energia che forma la materia fa parte del mondo ma, per quanto ne sappiamo, l’umanità è il sistema più complesso, quindi più evoluto, dell’universo. È costituito dall’insieme di tutti gli esseri umani, ciascuno dei quali è, quindi, un sotto-sistema del sistema umano.
La nostra funzione nel mondo deriva dalla nostra complessità e dalla nostra intelligenza. Possiamo accettarlo oppure no, ma tutti dobbiamo prendere coscienza che, per quanto ne sappiamo, in questo momento il futuro del mondo dipende da noi.
Che cosa significa cambiare il mondo? Cambiare il mondo significa interrompere la concatenazione degli eventi, riparare gli effetti del processo evolutivo come si è manifestato fino ad ora e modificare la regola fondamentale del processo evolutivo, cioè la struttura del sistema, intesa come relazione fra le sue parti. Significa fare un enorme salto qualitativo, ponendo noi stessi non al centro dell’universo ma come mezzi di cambiamento dell’universo.
Cambiare il mondo significa affrontare problemi sia umani sia ambientali e finalizzare le soluzioni al superamento della prevalenza dei sistemi vitali rispetto alle sue parti, attraverso una strategia che consenta di utilizzare noi stessi e le nostre intelligenze per realizzare lo scopo finale della massima complessità e, insieme, della massima perfezione possibile.
 
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