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La filosofia apartitica del micronazionalismo italiano

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bobby151169
view post Posted on 11/10/2009, 19:41




Il "micronazionalismo" è nato per rispondere agli eccessi del macronazionalismo. L'uovo e la gallina ... Il vero problema è che restano inspiegabili le ragioni per le quali alcune Nazioni hanno il loro Stato, altre Nazioni no e - addirittura - ci sono Stati che o non hanno nessuna identità nazionale o, al proprio interno, ne hanno più di una.

Indipendentemente da come si reggono questi Stati, quale è la fonte e quale è il diritto che consente tutto ciò? Se sono le ragioni della storia a prevalere, allora dobbiamo osservare che la storia non é finita e che, quindi, ciascun micro o macronazionalismo può ritenere (a torto o a ragione non importa, la storia non si fa problemi etici o di giustizia e verità assolute) di aver diritto ad assumere una propria forma istituzionale e a vederla riconosciuta nel contesto internazionale. Se sono le ragioni dell'identità a prevalere, allora è ancor maggiormente inevitabile che chi ha o crede di avere un'identità, possa ritenere che ciò gli dia dei diritti, ad esempio quello ad accedere alla autodeterminazione politica.

Purtroppo le ragioni della storia portano a considerare che, se necessario, la violenza può diventare uno strumento di liberazione e di affermazione del micro o del macronazionalismo; le nazioni senza Stato hanno imparato da quelle che uno Stato ce l'hanno, che il ricorso alla violenza diventa esecrabile soltanto se non accompagnato dal successo della lotta intrapresa: storicamente, il terrorismo che determina la nascita di uno Stato diventata gloriosa epopea di liberazione nazionale, mentre quello che non approda a nessun risultato resta inaccettabile scelta sanguinaria.

E le ragioni dell'identità portano a fornire un alibi culturale e nobile, vero o falso che sia, alla lotta politica che i micro ed i macronazionalismi portano avanti per tentare di modificare la storia a loro favore.

Se un riferimento possono avere avuto nella cultura italiana, è stato un riferimento libertario e l'hanno trovato in Salvemini e in Gramsci, tenaci oppositori del macronazionalismo e coerenti sostenitori di una diversa concezione dei diritti dell'identità.

Il senso di appartenenza ed il senso della identità collettiva, sono presenze costanti nell'umanità, e solo nella scelta del tipo di lotta da portare avanti possono diventare negative o positive. L'esaltazione dei diritti collettivi che alcuni criticano definendoli un assurdo regressismo ed un atteggiamento di sostanziale rifiuto dei diritti dell'uomo, è patrimonio della sinistra che lottò per l'emancipazione degli oppressi descrivendo, nella "Carta di Algeri", i diritti dei popoli: era la sinistra di Lelio Basso.

L'affermazione dei diritti collettivi è anche patrimonio di un'altra sinistra che lottò per la liberazione del terzo mondo descrivendo ne "I dannati della terra" un nuovo sogno libertario: era la sinistra di Franz Fanon. L'affermazione dei diritti collettivi è patrimonio di un'altra sinistra ancora, quella che nella "Dichiarazione Universale dei diritti collettivi dei Popoli" esprime l'esigenza di costruire un'Europa ancorata a valori sociali e socialisti: è la sinistra Gallega, Basca, Irlandese che, attraverso formazioni politiche micronazionaliste, rappresenta i diritti dei lavoratori, dei proletari, dei lavoratori. Al senso di identità ci si può contrapporre, considerandolo un retaggio scomodo-inutile e pericoloso del passato e, in nome dell'uomo nuovo (libero - cioè - da tutti questi retaggi) inventato dal marxismo, auspicare che nella storia e nella società, altre e non quelle nazionali siano le aggregazioni solidaristiche tra i gruppi umani; ma poiché, piaccia oppure no, quell'uomo nuovo non esiste, la contrapposizione si riduce ad esser null'altro che contrapposizione.

Nella società moderna e contemporanea la tipologia delle contrapposizioni più diffusa risulta legata a due diversi modelli di gestione del potere: il potere lontano e centralistico e il potere vicino e localistico. Se in questa contrapposizione evidenziamo la ragioni economiche che caratterizzano i contendenti, magari l'uno arricchito perché sfruttatore e l'altro impoverito perché sfruttato, torniamo ad un problema di contrapposizione di interessi di classe. Se in questa contrapposizione evidenziamo che i contendenti parlano lingue diverse ed hanno una storia diversa, torniamo ad una contrapposizione nazionale. Se le ragioni economiche e quelle identitarie si propongono contemporaneamente, la contrapposizione finisce col diventare conflitto, perché è in gioco la sopravvivenza. Non sono poco i marxisti di grande prestigio che hanno studiato queste problematiche, giungendo a far propria la rivendicazione dei diritti delle nazionalità e dei micronazionalismi, pur collocandola in una visione paradigmatica incentrata sulla solidarietà tra gli oppressi, classi-popoli o gruppi sociali che siano.

Ed è proprio dal pensiero di costoro che possiamo trarre utili considerazioni sul fatto che il micro ed il macronazionalismo, ispirati da criteri di privilegio, di vantaggio, di mantenimento di posizioni di superiorità su altri, o di conquista di tali posizioni, diventano ingiusti ed ingiustificati. Il micronazionalismo, comunque, non è necessariamente di destra, così come non è il macronazionalismo.

Ma cosa certa, infine, è che tra i micronazionalisti c'è chi non crede affatto che questa Europa sia stata un obbligo.
Ma c'è di piu': sempre tra i micronazionalisti (e non solo) c'è chi non crede affatto che la mondializzazione e la globalizzazione siano inevitabili e siano, invece, il risultato della dominazione americana su gran parte del mondo, della affermazione - cioè - di un ipernazionalismo.
 
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